Ritratto di Leonardo Sciascia

Leonardo Sciascia Biografia

Leonardo Sciascia, tra anticonformismo, impegno politico e amore per la letteratura
Uno spirito libero, anticonformista e curioso: Leonardo Sciascia è stata una delle maggiori figure del Novecento italiano ed europeo. Alla sete di conoscenza per le contraddizioni della sua terra e dell’umanità in generale, egli ha unito una concezione per il senso di giustizia pessimista. Nonostante ciò, guidato dalla forza della ragione umana di matrice illuminista, Sciascia ha portato avanti per tutta la vita l’idea e la voglia di cambiare le cose.
Nato a Racalmuto, in provincia di Agrigento, l’8 gennaio del 1921, Leonardo Sciascia è il primo di tre fratelli ed è figlio di un impiegato presso una delle miniere di zolfo locali, Pasquale Sciascia, e di una casalinga, Genoveffa Martorelli. A quattordici anni la famiglia si trasferisce a Caltanissetta, e Sciascia frequenta l’Istituto Magistrale IX Maggio dove incontra due insegnanti: Vitaliano Brancati e Giuseppe Granata. Il primo lo guiderà alla scoperta degli autori francesi, mentre Granata gli farà conoscere l’illuminismo francese e italiano. Nel 1941 si diploma per poi cominciare a lavorare, fino al 1948, come addetto all’ammasso del grano a Racalmuto presso il Consorzio Agrario. Per quanto riguarda gli affetti, nel 1944 sposa Maria Andronico, un’insegnante elementare di Racalmuto, con cui ha due figlie, Laura e Anna Maria.

I primi passi nel mondo della scrittura

A ventinove anni, Leonardo Sciascia pubblica Favole della dittatura, libro composto da ventisette brevi testi poetici, che ricordano le classiche favole di Esopo, abitate da animali e che presentano sempre delle morali chiare e semplici. Nel 1952 pubblica un’altra raccolta di poesie, La Sicilia, illustrata dallo scultore catanese Emilio Greco. L’anno dopo si aggiudica il Premio Pirandello per il saggio Pirandello e il pirandellismo. Inoltre comincia a collaborare con riviste dedicate alla letteratura e agli studi etnologici, diventando direttore di Galleria e de I quaderni di Galleria. Per i romanzi, come Il giorno della civetta, bisogna però aspettare ancora qualche anno, infatti; alla fine degli anni Cinquanta, lo scrittore siciliano si trova a Roma poiché gli è stata affidata una cattedra presso la capitale. Qui pubblica Gli zii di Sicilia, composto da quattro racconti: La zia d’America, un tentativo di dissacrare il mito dello Zio Sam; La morte di Stalin, in cui il personaggio è un mito, il comunismo, incarnato appunto da Stalin; Il quarantotto, ambientato nel periodo del Risorgimento, in cui si racconta l’unificazione del Regno d’Italia vista attraverso gli occhi di un siciliano e L’antimonio, in cui si narra la storia di un minatore che combatte nella guerra civile in Spagna.

I Romanzi di Sciascia negli anni Sessanta: Il giorno della civetta e Il consiglio d’Egitto

Tornato a Caltanissetta per lavorare presso il Patronato scolastico, Leonardo Sciascia pubblica nel 1961 Il giorno della civetta, uscito l’anno prima sulla rivista Mondo Nuovo, con cui viene inaugurata una nuova stagione del giallo italiano contemporaneo. La trama trae ispirazione da un episodio reale di cronaca, l’omicidio di un sindacalista comunista, Accursio Miraglia. Il fatto era accaduto a Sciacca, un comune siciliano, nel 1947 per mano della mafia di Cosa Nostra. Il titolo del romanzo alludeva al fatto che se la mafia un tempo agiva, proprio come l’animale notturno, in gran segreto e timorosa di essere scoperta, ora invece aveva ormai raggiunto un potere talmente grande da prendersi il lusso di agire alla luce del giorno, senza preoccuparsi di possibili conseguenze. Il libro costituisce una vera e propria novità per l’epoca poiché, sottintesa alla finzione del romanzo, Leonardo Sciascia dà una rappresentazione reale e concreta della mafia. Due anni dopo, nel 1963, esce il romanzo Il consiglio d’Egitto, ambientato in una Palermo del Settecento, in cui vive l’abate Giuseppe Vella, un abile falsario, che dà vita a un codice arabo per togliere tutti i privilegi e i poteri ai baroni siciliani.

Un ritorno al saggio e un assaggio di commedia

Leonardo Sciascia

La produzione di opere letterarie di Sciascia è inarrestabile: nel 1964 pubblica il breve saggio Morte dell’Inquisitore, ambientato nel Seicento. Il libro trae spunto dalla figura dell’eretico siciliano fra’ Diego La Matina, colpevole di avere ucciso l’inquisitore nel regno di Sicilia, Juan Lopez De Cisneros. Nel 1965 esce il saggio Feste religiose in Sicilia, in cui Leonardo Sciascia ripropone il parallelismo Sicilia-Spagna rispetto al valore e all’importanza che vengono attribuite alla superstizione religiosa e al mito. Nello stesso anno viene pubblicata la commedia L’onorevole, un’impietosa denuncia delle complicità tra governo e mafia.

A ciascuno il suo, Il contesto e Todo Modo, Sciascia a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta

Nel 1966 esce un nuovo romanzo, A ciascuno il suo, in cui tornano le modalità e le tematiche del giallo, già usate ne Il giorno della civetta. Il protagonista del romanzo è Paolo Laurana, un professore di liceo che comincia a indagare sulla morte del farmacista del paese e dell’amico dottore. Deve però scontrarsi con l’omertà dei paesani. Qualche anno dopo, nel 1971, viene pubblicato un altro libro poliziesco, Il contesto. La vicenda ruota intorno all’ispettore Rogas, incaricato di risolvere una complicata vicenda, frutto di un errore giudiziario e una serie di omicidi di giudici. La storia si svolge in una città inventata, ma è facilmente individuabile l’Italia contemporanea. Tre anni dopo, nel 1974, esce Todo modo, ambientato negli anni Settanta in un albergo sperduto in cui si svolgono esercizi spirituali. Il protagonista è un noto pittore che sente il bisogno di trascorrere del tempo in solitudine presso l’Eremo di Zafer, trasformato in un hotel da Don Gaetano. Qui, in alcuni periodi dell’anno si svolgono dei ritiri spirituali che coinvolgono uomini potenti, come ministri, politici e cardinali. Il don consente al pittore di partecipare al ritiro, ma, durante la recita del rosario, si verifica un inquietante omicidio, a cui ne seguiranno altri. Nonostante i temi spinosi trattati, la maggior parte dei romanzi di Sciascia divengono anche dei film: Elio Petri gira il film omonimo, A ciascuno il suo, nel 1967; Damiano Damiani, Il giorno della civetta nel 1968; dal romanzo Il contesto trae ispirazione il film di Francesco Rosi, Cadaveri eccellenti (1976) e da Todo modo, di nuovo Elio Petri gira l’omonimo film, uscito nel 1976.

Leonardo Sciascia e l’impegno politico

Oltre alla prolifica attività letteraria, Sciascia affianca l’impegno politico; infatti, alle elezioni comunali di Palermo nel 1975 si candida come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano e viene eletto come consigliere. Rimarrà in carica fino al 1977, anno in cui si dimetterà a causa dei numerosi scontri con la dirigenza del partito. Due anni più tardi, nel 1979 accetta la proposta dei Radicali e si candida al Parlamento europeo e alla Camera. Anche in questo caso viene eletto e rimarrà deputato a Montecitorio fino al 1983. Nel corso del mandato, Sciascia si occuperà di diverse questioni: dall’inchiesta sulla strage di via Fani al sequestro e l’assassinio di Aldo Moro fino al tema del terrorismo in Italia. Inoltre lo scrittore siciliano si espresse contro la legislazione d’emergenza e il pentitismo sia nei confronti del terrorismo sia della mafia. Negli anni in cui ricopre delle cariche a livello politico, Leonardo Sciascia si reca sempre più spesso a Parigi, così da aumentare i contatti con la cultura francese. Non a caso, nel 1977 pubblica il romanzo Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia, con un evidente riferimento al Candido di Voltaire e Nero su Nero, una raccolta di commenti ai fatti avvenuti negli anni Sessanta. Nel 1980 esce Il volto sulla maschera e la traduzione de Il procuratore della Giudea, opera del francese Anatole France. Tre anni dopo pubblica un saggio per ricordare la nascita dello scrittore francese Stendhal, Stendhal e la Sicilia.

Una storia semplice, Sciascia e la morte

Agli inizi degli anni Ottanta gli viene diagnosticato il mieloma multiplo che lo costringe a lasciare spesso la Sicilia per Milano, così da sottoporsi a frequenti cure. Continua comunque l’attività di scrittore: tra il 1985 e il 1986 pubblica Cronachette e Occhio di capra, una raccolta di modi di dire e proverbi siciliani, e il saggio La strega e il capitano, per commemorare la nascita di Alessandro Manzoni. Gli ultimi romanzi, come Porte aperte (1987), Il cavaliere e la morte (1988) e Una storia semplice (1989) sono colmi di motivi autobiografici. Porte aperte è ambientato a Palermo, alla fine degli anni Trenta, nel pieno dei regime fascista. Un uomo si macchia di tre omicidi: la moglie, l’uomo che era stato assunto nel suo posto di lavoro poiché egli era stato licenziato e il suo vecchio capo, un gerarca fascista. L’omicida viene processato e condannato all’ergastolo. Ne Il cavaliere e la morte, Vice, un commissario di polizia, indaga sulla morte di Sandoz, un noto avvocato. Individuato il colpevole, il potente industriale Aurispa, il poliziotto non ha però prove concrete e deve combattere la sua battaglia non solo contro una grave malattia, ma anche contro degli avversari più forti e potenti di lui. Finirà per essere ucciso. Infine, Una storia semplice, ispirato al furto della Natività e con protagonisti i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi del Caravaggio, uscirà in libreria il giorno della morte dello scrittore, il 20 novembre del 1989. Leonardo Sciascia sarà sepolto nel cimitero del suo paese natale, Racalmuto. Pur non essendo un fervido credente, egli volle che i funerali venissero celebrati in chiesa, così da evitare di mettere in imbarazzo la famiglia. All’interno della sua bara la moglie e gli amici misero un crocifisso d’argento, simbolo che Sciascia rispettava. Sulla lapide bianca della sua tomba è riportata una sola frase: “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”, si tratta di una citazione di Auguste de Villiers de L’Isle-Adam. Nonostante la malattia, fino alla morte continua anche il suo impegno politico, infatti intraprende le ultime battaglie per difendere Enzo Tortora, vittima di errore giudiziario e diventato un militante radicale e sostenere Adriano Sofri, accusato di aver assassinato Calabresi.

Leonardo Sciascia, libri, giornalismo e attacchi politici

Scrittore, drammaturgo, politico, ma anche giornalista. Leonardo Sciascia, fin dagli inizi, è molto attivo anche su giornali e riviste. Infatti collabora con il quotidiano palermitano L’Ora dal 1955, scrivendo sulle pagine culturali e tenendo, dal 1964 al 1968, una rubrica fissa, il Quaderno. Egli scrive anche su quotidiani più noti come Il Corriere della Sera, soprattutto dal 1969 al 1972 e La Stampa dal 1972. La collaborazione con quest’ultimo sarà più frequente una volta interrotti i rapporti con Il Corriere della Sera. Tra i tanti articoli scritti da Sciascia, in particolare ce n’è uno, I professionisti dell’antimafia, uscito sul Corriere della Sera il 10 gennaio 1987, che fece molto scalpore e causò diversi problemi allo scrittore. Nel suddetto, Sciascia stigmatizzava il comportamento di alcuni magistrati palermitani, attivi contro la mafia, poiché si erano macchiati di carrierismo. Secondo Sciascia, avevano infatti usato la lotta contro la mafia non tanto per favorire la rinascita morale della Sicilia, ma quanto per ottenere dei favoritismi nella loro personale ascesa a livello lavorativo. Bersaglio dello scrittore è in particolare il giudice Paolo Emanuele Borsellino, vincitore del concorso per ricoprire il ruolo di Procuratore della Repubblica di Marsala. Il giudice infatti aveva vinto non grazie all’anzianità di servizio, ma per le competenze professionali nell’ambito della malavita organizzata che aveva acquisito direttamente sul campo. A seguito della pubblicazione dell’articolo Sciascia, simbolo della lotta alla mafia, fu aspramente criticato da importanti figure della cultura e della politica italiana. Per esempio l’Associazione Coordinamento Antimafia lo accusò di essere un quaquaraquà, posto ai margini della società civile, oppure lo storico Paolo Pezzino sostenne che lo scrittore non fosse in grado di comprendere la vera pericolosità della mafia contemporanea poiché era legato all’immagine, ormai sorpassata, del mafioso come uomo d’onore.
In realtà Leonardo Sciascia temeva che si potesse verificare un’involuzione autoritaria della Sicilia e dell’Italia in generale. Tale idea si estendeva anche al diritto penale: egli era contrario alle procedure inquisitorie, all’uso del pentitismo e dei collaboratori di giustizia.

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