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Etna: richiesto lo stato di emergenza per la cenere lavica da Musumeci

L’ultimo e intenso periodo di attività parossistica dell’Etna ha prodotto una grandissima quantità di materiale piroclastico che è ricaduta abbondantemente sui paese etnei. Per rendere un’idea, si stima che soltanto in occasione dell’evento di domenica 7 marzo siano caduti 678 mila metri cubi di cenere vulcanica, la qual cosa ha creato uno straordinario – ma non per questo meno pericoloso – spettacolo, con le strade, le auto e le piazze ricoperte di nero, quasi fosse un’atipica nevicata.
Come abbiamo detto però, la “riina” accumulatasi può essere un fattore di rischio, come sottolineato anche dalla Protezione civile regionale. Oltre ai già noti rischi dovuti a possibili slittamenti di automezzi in movimento sulle strade, c’è da considerare infatti il ben più pressante rischio per la salute dei cittadini legato alla polverizzazione della cenere vulcanica, se quest’ultima non viene smaltita per tempo. Proprio a questo proposito qualche giorno fa si era espresso anche il presidente della Regione Musumeci, che aveva sollecitato l’assessore alla Salute Ruggero Razza a verificare con le istituzioni sanitarie nazionali il rischio per la salute delle persone legato al contatto con la cenere vulcanica. “E’ solo un eccesso di prudenza ma, come si sa, la prudenza non è mai troppa”, aveva dichiarato il governatore Musumeci.
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Sicilia: richiesto lo stato d’emergenza per numerosi comuni dell’area etnea

Per questi motivi è stato dichiarato lo stato di crisi e di emergenza regionale e richiesto al Consiglio dei Ministri lo stato di emergenza nazionale per 13 Comuni situati nelle aree sommitali dell’Etna e per altri 30 della zona etnea. Frattanto, in attesa della risposta dallo Stato, lo stato di crisi e di emergenza è stato intanto proclamato a livello regionale per 13 enti dell’area sommitale del vulcano (Adrano, Belpasso, Biancavilla, Bronte, Castiglione di Sicilia, Linguaglossa, Maletto, Nicolosi, Piedimonte Etneo, Ragalna, Randazzo, Sant’Alfio, Zafferana Etnea) e altri 30 dell’areale etneo (Aci Bonaccorsi, Aci Castello, Aci Catena, Acireale, Aci Sant’Antonio, Calatabiano, Camporotondo Etneo, Catania, Fiumefreddo di Sicilia, Giarre, Gravina di Catania, Maniace, Mascali, Mascalucia, Milo, Misterbianco, Motta Sant’Anastasia, Paternò, Pedara, Riposto, San Giovanni La Punta, San Gregorio, San Pietro Clarenza, Santa Maria di Licodia, Santa Venerina, Sant’Agata Li Battiati, Trecastagni, Tremestieri Etneo, Valverde, Viagrande).
Il dirigente generale del dipartimento di Protezione civile, Salvo Cocina, è stato nominato commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti.
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Etna: si contano i danni dell’attività e la regione richiede lo stato d’emergenza

Una cifra non certo indifferente, prossima ai venticinque milioni, è quella che hanno stimato per i danni causati dall’attività parossistica del vulcano. E’ infatti stimata intorno ai 15 milioni di euro la spesa per rimuovere e smaltire correttamente la straordinaria quantità di materiale piroclastico, mentre – sebbene non vi sia stata ancora una stima ufficiale – si stima una cifra superiore ai 10 milioni per quanto riguarda i danni ai sistemi di smaltimento delle acque, alle attività agricole, alle coperture degli edifici etc.
Per fare fronte a quest’emergenza, la regione ha già stanziato 600mila euro per reperire mezzi e affidare servizi aggiuntivi per lo smaltimento, in aggiunta a quelli dei Comuni, e sta provvedendo a stanziarne un ulteriore milione di euro dal bilancio regionale.
Ma dinnanzi a un simile evento, e alle difficoltà a esso connaturate, non può bastare il semplice impegno della Regione: è certamente necessario l’impegno dello Stato.
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