Economia sicilia export

Economia Sicilia cresce l’export

Notizie in chiaroscuro per l’economia in Sicilia. L’annata non è certo stata delle migliori: prezzi alle stelle, caro vita attanagliante e insicurezza nelle prospettive. Complessa la situazione: da un lato la buona notizia riguardante le esportazioni, che trainano il settore economico con un incremento sostanziale. Dall’altro le difficoltà riguardanti PNRR, uno degli strumenti che maggiormente potrebbe rilanciare l’economia appunto.

Economia Sicilia: cresce l’export

Difficile non gioire di una crescita del 56%, numeri praticamente da capogiro. E’ quanto hanno fatto registrare nel 2022 le esportazioni dalla Sicilia legate al settore petrolchimico. Complice probabilmente la crisi energetica, si è passati da 10,6 miliardi di euro nel 2021 a 16,6 nel 2022, con un ruolo da leone giocato dalla zona del siracusano – quasi 11 miliardi vengono prodotti lì, a fronte dei 6,3 del 2021. A crescere sono anche dei settori “collegati”, come il carbone: 2.300 per cento in più, un aumento esponenziale che mostra quanto abbia impattato la crisi energetica. Insieme a essi, crescono il trattamento dei rifiuti (più 400%) e i servizi per l’informazione e la comunicazione (+400 per cento). A elaborare i dati sull’andamento del commercio estero è stato l’Osservatorio di Unioncamere Sicilia. L’export nazionale si attesta a 624,7 miliardi di euro, le regioni che hanno spinto di più l’economia italiana nel 2022 sono state, in ordine di fatturato, la Lombardia (con 162 miliardi, dieci volte la Sicilia), l’Emilia Romagna (84 miliardi di euro) e il Veneto con 82 miliardi di euro.

Vaccaro “Continuare così”

Petrolio

Sempre andando a leggere quanto emerso, si evince come l’unica provincia in calo sia Palermo. . Dopo Siracusa, seguono Catania (1,2 miliardi di euro), Messina (1,5 miliardi di euro), Ragusa (626 miliardi di euro) e Trapani (361 milioni di euro). I settori che hanno spinto principalmente l’export della Sicilia nell’anno 2022, attestato il primato di coke e prodotti petroliferi raffinati, che rappresentano la fetta più grossa, ci sono i prodotti chimici con 1,1 miliardi di euro, l’agroalimentare e bevande con un miliardo di eruo, computer e apparecchi elettronici con 950 milioni di euro e i prodotti agricoli con 600 milioni di euro circa di fatturato. Il presidente di Unioncamere Sicilia, Giuseppe Pace, riguardo il miglioramento certificato – seppur in maniera disomogenea – in tutto il territorio regionale si è così espresso: «Conforta registrare che la voglia di competere sui mercati internazionali è diventata una priorità per le imprese dell’isola.»

Anche la sottosegretaria di Unioncamere Sicilia, Santa Vaccaro, ha fatto notare l’apprezzamento per il Made in Sicily. «A fare la parte del leone fra i sotto-settori sono come si evince coke e prodotti petroliferi raffinati che rappresentano oltre il 66 per cento del totale delle esportazioni Made in Sicily. Apprezzati all’estero, oltre ai prodotti chimici, computer e apparecchi elettronici, i prodotti agroalimentari e le bevande che certificano come le eccellenze dell’isola siano sempre apprezzate in tutto il mondo. E proprio per questo motivo le attività business to business, fra gli operatori esteri e le imprese della Sicilia continueranno ad essere una priorità per Unioncamere Sicilia».

PNRR: una situazione complessa, mancano i tecnici

Se dal fronte export per l’economia in Sicilia arrivano buone notizie, non lo sono altrettanto su quello del PNRR, che rappresenta una risorsa importantissima per far respirare l’economia. Questo specialmente perché dei 15mila dipendenti a tempo determinato che erano necessari, solo 2.500 sono stati sinora assunti. In una recente dichiarazione rilasciata a Focus Sicilia, Nicola Tonveronachi, del Centro studi enti locali, ha precisato come manchino «300 mila dipendenti. Il turn-over non è stato rinnovato, è difficile in pochi mesi metterli dentro con qualità e professionalità adeguate, però ci dobbiamo provare. Ai Comuni i soldi stanno arrivando, la sfida è metterli a terra. Nel Sud c’è una quota notevole di Comuni che non hanno partecipato ai bandi, tranne le risorse a pioggia del ministero dell’Interno sulla rigenerazione urbana e la transizione digitale. Potevano essere molto di più, c’è un gap di tecnici». In Sicilia, invece, la quasi totalità dei Comuni ha presentato ottenuto finanziamenti per i progetti Pnrr presentati. La disponibilità di personale condizionerà la partita dell’attuazione del Pnrr e nei territori «si vincerà solo se gli enti locali – scrive il Csel – si dimostreranno capaci di avviare le gare rapidamente e assicurarsi che i lavori vengano realizzati in tempi infinitamente più contenuti rispetto a quelli ordinari».

Sempre secondo Tonveronachi, in Italia «ci sono delle aree dove ancora ci sono difficoltà nel comprendere realmente i meccanismo che l’Europa e il governo nazionale hanno messo come presidio per poter assegnare, erogare, far spendere e rendicontare i soldi comunitari del Pnrr. Non è che al Nord o al Centro va tutto bene, è la media che dice che va tutto bene, ma dobbiamo investire perché queste aree ancora in difficoltà recuperino il tempo». Tutto male, insomma? Non è proprio così: «al Sud ci sono delle eccellenze – riconosce l’esperto – che hanno fatto strike, hanno partecipato a tutti i bandi, c’erano e ci sono persone che hanno più esperienza e sprint o strutture amministrative pubbliche che hanno sempre avuto l’eccellenza di spendere i soldi comunitari del ciclo del settennato. Il Pnrr non è troppo diverso tecnicamente dall’utilizzo di quei fondi, quindi le regioni che erano più avanti sono tendenzialmente messe in buona posizione».


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